lunedì 5 marzo 2012

PERCHE' TUTTO SI GIOCA SEMPRE IN OHIO

Ci risiamo: per l'ennesima volta, i destini della politica a stelle e strisce si decidono nel Bucket State (lo “Stato dell' Ippocastano”).
Eppure l'Ohio non è il boccone più grosso nel voto di domani (assegna moltissimi delegati, 66, ma la Georgia ne assegna dieci di più – e comunque si ragiona con metodo proporzionale, quindi i delegati andranno spartiti).

Al contempo l'Ohio non spicca certo per la sua florida economia. Già alla fine degli anni Settanta lì prima che altrove si avvertiva crisi dell’industria pesante americana. Negli anni Ottanta la striscia di MidWest che correndo sotto i Grandi Laghi va dalla Pennsylvania orientale (la zona di Pittsburgh) al Nord dell'Illinois divenne tristemente nota come “Rust Belt”, la cintura della ruggine, per via della desolazione e del degrado di paesi e città costellati da stabilimenti industriali ormai da tempo abbandonati. Il cuore di quello sfortunato pezzo di America era proprio l'Ohio. Le cose non hanno fatto che peggiorare negli anni Novanta della deindustrializzazione e della delocalizzazione. Cleveland, la città più importante dell’Ohio, è stata dichiarata la più povera degli Stati Uniti.
Eppure, in mezzo a tutta quella desolazione, i cronisti di mezzo mondo sono costretti almeno una volta ogni quattro anni a recarsi in pellegrinaggio per raccontare una qualche competizione decisiva. Il motivo è sempre lo stesso: non si diventa presidenti senza vincere in Ohio , che è uno dei famigerati “swing state”, gli Stati che oscillano perpetuamente tra il voto ai Democratici e quello ai Repubblicani, facendo spesso e volentieri da ago della bilancia nell'elezione generale. 


Potremmo risalire quanto meno alle presidenziali del 1976, quando Jerry Ford venne battuto da Jimmy Carter per poche migliaia di voti proprio in Ohio; ma basta ricordare le immagini televisive del novembre del 2004, quando la conta dei voti in Ohio tenne sveglia l'America e il mondo, sino a rivelare a notte fonda che John Kerry non era riuscito ad impedire la rielezione di George W Bush (in Ohio il pendolo oscillò a favore di W. di due punti percentuali, come del resto era accaduto per Clinton nel 1992).
Nel 2008 Obama ha battuto John McCain nella inevitabile battaglia per la conquista di quel fatidico pezzo di MidWest; ma due anni dopo, alle alezioni di midterm, il pendolo ha nuovamente oscillato a favore dei Grand Old Party in Ohio, che attualmente è governato da un repubblicano vicino al mondo dei Tea Party, l’ex conduttore Fox News John Kasich. Attualmente i sondaggi danno Obama in difficoltà in questo Stato: ecco perché il valore politico del voto di domani sta tutto nell'individuare il candidato più adatto a contrastarlo nel suo tentativo di “riconquista”.
E' quindi inevitabile che anche in questo “Supermartedì” gli occhi siano ancora una volta tutti puntati lì, dove l'ormai estenuante braccio di ferro fra Mitt Romney da una parte e il fronte conservatore a lui avverso, ancora indeciso fra la candidatura di Rick Santorum e quella di Newt Gingrich, potrebbe giungere alla sospirata svolta.
Fino ad una settimana fa i sondaggi sull'Ohio davano nettamente in testa Santorum, ma negli ultimi giorni Romney è rimontato ed ora si parla di un testa a testa sul filo di lana. Si replicherà quindi quanto già visto in Michigan? Una vittoria del frontrunner potrebbe rappresentare l'inizio della fine delle resistenza alla candidatura Romney. Una sua sconfitta invece potrebbe metterlo seriamente in crisi, ma nemmeno questo è del tutto scontato: in fondo, quattro anni fa nella primaria democratica dell'Ohio Obama aveva perso di dieci punti contro Hillary Clinton.

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