giovedì 29 dicembre 2011

VOODOO 2012 / 5: LA PROFEZIA FINALE DI KARL ROVE


A tre giorni dal passaggio all'anno elettorale, il famigerato Karl Rove spara sulle colonne del Wall Street Journal una lunga ed articolata profezia sugli accadimenti politici del 2012.
Ovviamente, in cauda venenum:
"La ripresa economica continuerà ad essere anemica, lasciando sostanzialmente immutate al giorno delle elezioni sia la disoccupazione, sia i timori che il presidente non sia all'altezza di un compito tanto impegnativo. A causa di ciò, Obama perderà, subendo un calo di consensi in tutti i cinque gruppi elettorali che erano stati determinanti per la sua vittoria nel 2008 - indipendenti, donne, latinos, giovani ed ebrei. Riuscirà ad avere la maggioranza del voto di almeno tre di questi gruppi, ma non nella stessa misura in cui l'ebbe nella precedente elezione".

E quindi, chi vincerà?
Questo, non a caso, il malefico "boy genius" si guarda bene dall'azzardarlo.

giovedì 22 dicembre 2011

"GAME CHANGE" DIMEZZATO



Dopo mesi e mesi di astute anticipazioni sulla composizione del cast, delle quali avete letto anche qui, con l'appropinquarsi dell'anno elettorale ecco finalmente qualche prima sbirciatina alle immagini dell'attesissima miniserie Game Change, ispirata all'omonimo bestseller di Mike Halperin e John Heilemann che racconta i più scabrosi retroscena delle primarie e delle elezioni del 2008.
La serie andrà in onda negli USA a marzo su HBO (quindi poi presumibilmente anche qui in Italia su Sky); il primissimo trailer (anzi teaser, come dicono quelli bravi) è quello che vedete qui sopra.
Queste produzioni HBO solitamente sono eccellenti (basti ricordare come quest'anno hanno magistralmente trasposto in un film Too Big To Fail di Andrew Ross Sorkin, un piccolo capolavoro); stavolta però - a giudicare sia da questo primo teaser che dalle indiscrezioni sin qui uscite - viene il dubbio che abbiano preso un granchio clamoroso, scegliendo (per pudore filogovernativo?) di inscenare soltanto quella "metà" del libro che tratta di Sarah Palin e di John McCain, tralasciando clamorosamente quella che nel sottotitolo del libro viene addirittura prima, cioé quella che riguarda Obama e Clinton (intesa come Hillary ma non solo).
Peccato, si tratterebbe un'occasione clamorosamente sprecata: toccherebbe accontantarci della versione decaffeinata. Ma piacerebbe?

martedì 20 dicembre 2011

E' GIA' USA 2012, E ANCORA NON HO NIENTE DA METTERMI


Oggi su Notapolitica:

Mancano esattamente due settimane al caucus dell'Iowa con il quale il 3 gennaio avrà ufficialmente inizio la competizione per selezionare lo sfidante repubblicano per le elezioni presidenziali americane del 2012.
 
Solo due settimane; eppure la situazione non potrebbe essere più caotica e più imprevedibile.
L'exploit dell'ex speaker Newt Gingrich nei sondaggi sembra si stia già esaurendo, un po' troppo presto per un candidato che tutti gli analisti giudicano poco attrezzato per una lunga guerra di posizione, e che sarebbe quindi destinato ad avere la peggio se con Romney si innescasse un testa a testa come quello disegnato dai sondaggi più recenti.

Nella baraonda dell'ultim'ora persino il vecchio libertario Ron Paul, eterno candidato sulla cui eleggibilità nessuno è disposto a scommettere, sembra in procinto di vivere un suo piccolo "momentum"; mentre il governatore del Texas Rick Perry e la pasionaria dei Tea Party Michele Bachmann, pur avendo entrambi perso per strada gran parte dei propri consensi, non sono ancora ridotti a termini tanto minimi da poterli già dare aprioristicamente per perdenti.

In tutto ciò Mitt Romney, il grande sconfitto delle primarie del 2008 che stavolta molti avevano incautamente dato per favoritissimo, e che di fatto coltivava la sua candidatura da anni, rimane disperatamente inchiodato ben al di sotto di un terzo dei consensi - decisamente pochino per un frontrunner.

Per di più, stavolta la frammentazione nel campo repubblicano verrà gravemente amplificata dal fatto che il Grand Old Party ha deciso di tenere gran parte delle proprie primarie con un sistema di voto di tipo proporzionale. Nel 2008, se Romney avesse strappato appena tre punti percentuali in più nel voto popolare nelle primarie della Florida e in quelle del blocco del "supermartedì", sarebbe arrivato alla convention finale in sostanziale parità con John McCain; grazie al sistema maggioritario secco, si ritrovò invece indietro di ben trecento delegati. Ma quest'anno sarà molto diverso.

Paradossalmente, tutto ciò avviene a meno di un anno da un'elezione presidenziale straordinaria, nella quale il presidente uscente, contrariamente a quanto accade di consueto, rischierà seriamente di essere battuto.

Vediamo perché. Nel novembre del 2008 Obama venne eletto con il 53% del voto popolare. Vinse solo negli Stati nei quali la percentuale di elettori che esprimevano un giudizio favorevole sulla presidenza dell'uscente George W. Bush veniva rilevata al di sotto della soglia del 35%. data l'aria che tira, è difficile pensare che l'anno prossimo ne conquisti di nuovi.
Il "collegio elettorale" è composto da 538 "grandi elettori", quindi per vincere la Casa Bianca occorre il voto di almeno 270 di essi.
Nel 2008, gli Stati nei quali la maggioranza andò a John McCain ne esprimevano 173: se nel novembre del 2012 in quegli stessi Stati vincerà nuovamente il candidato repubblicano, quel bottino "facile" sarà aumentato a 180, perché in molti di quegli Stati il censimento del 2010 ha rilevato un aumento di popolazione che ha giocato in loro favore nella rassegnazione dei "voti elettorali" (caso estremo il Texas, che quest'anno conterà 4 voti in più).

Quindi, il candidato repubblicano si giocherà l'elezione su un cedimento di Obama che si traduca nella perdita di appena 90 voti elettorali.
Sono pochissimi, una miseria. Bush padre, l'ultimo presidente ad aver mancato la rielezione, quando nel 1992 al termine del suo primo mandato venne battuto da Bill Clinton, perse la bellezza di 258 dei voti elettorali con i quali era stato eletto. Prima di lui l'ultimo "single term president" era stato Jimmy Carter, che nel 1980 ne aveva persi 248.
Per rinvenire un precedente di un presidente che perde la rielezione per un margine di meno di cento voti elettorali, dobbiamo risalire indietro di un secolo tondo tondo prima della sconfitta di Bush padre: quando nel 1892 Benjamin Harrison mancò la rielezione per 88 voti elettorali.

A ciò si aggiunge il fatto che nel 2008 in alcuni Stati Obama vinse per un soffio. In South Carolina, ad esempio, vinse con un microscopico margine dello 0,4%; in Indiana dello 0,9. Basta un nonnulla per perdere simili vantaggi. Ma anche nella sempre cruciale Florida (che da sola quest'anno esprime ben 29 voti elettorali, due in più rispetto al 2008) vinse con un margine del 2,5%, non esattamente una valanga se si pensa che Bush nel 2004 aveva vinto nel Sunshine State con un margine del 4,2%.

Gli ultimi sondaggi vedono il presidente sempre più in difficoltà. E' pensabile che da qui a dieci mesi recuperi? Nessun presidente dai tempi di Franklin Delano Roosevelt è stato rieletto con un tasso di disoccupazione superiore al 7,2%; e nulla lascia intendere che durante il primo mandato di Obama essa scenderà al di sotto dell'8%.
La settimana scorsa il sondaggio della Associated Press - GfK ha rilevato una maggioranza assoluta di elettori sfavorevoli alla rielezione, ed è la prima volta che accade da quando questo sondaggio viene condotto.

A questo punto l'unico pronostico che si possa azzardare, alla vigilia di questo anno elettorale anomalo ed imprevedibile, è che se qualcuno può regalare ad Obama una rielezione tanto ardua, quel qualcuno oggi come oggi pare essere proprio il partito repubblicano, se si impegnerà a scegliere l'uomo sbagliato.

lunedì 12 dicembre 2011

SCOMMETTIAMO CHE (OVVERO: L'UOMO DA DIECIMILA DOLLARI)


Nelle primarie i dibattiti contano, c'è poco da fare. Se quello di un mese fa in Michigan verrà ricordato come quello durante il quale Rick Perry si è politicamente suicidato, quello di sabato sera a Des Moines (Iowa) potrebbe aver fornito lo scorcio decisivo nel rivelare la inadeguatezza di Mitt Romney.
Il candidato più preparato, quello meglio organizzato, "l'unico che batterebbe Obama", ecc. ecc., si è lasciato sopraffare dallo zelo di scrollarsi di dosso il "suicida" di cui sopra, perdendo la calma di fronte non ad un inatteso "asso nella manica", bensì ad una provocazione banale e tutt'altro che nuova.
Incalzato da Perry sulla solita storia della riforma sanitaria da lui fatta approvare in Massachussetts (quella pressoché identica alla odiatissima riforma nazionale fatta approvare da Obama, al punto da essere stata usata come suo prototipo), e in particolare accusato di aver scritto che la sua riforma andava presa a modello a livello nazionale (e di aver poi fatto sparire quella frase nelle successive edizioni del libro - quindi esattamente la stessa punzecchiatura che Perry aveva usato a settembre nel dibattito in Florida), Romney stavolta ha reagito come un danaroso spaccone da bar sfidando l'avversario a scommettere diecimila dollari sulla questione. Perry, che in fondo tanto sprovveduto non è, ha garbatamente rifiutato di prestarsi al giochino spiegando di non essere "nel giro delle scommesse". Un simpatico siparietto, forse non del tutto adeguato alle circostanze ma certamente pane per i denti dei media.
Forse Romney intendeva sintonizzarsi con l'elettore medio dell'Iowa - cioé con un bifolco, agli occhi di un aristocratico come lui; peccato però che diecimila dollari equivalgano a quattro mesi di stipendio da quelle parti, e comunque ad una cifra che nessuna persona normale giocherebbe a scommettere in questi tempi di vacche magre.
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Per uno come lui, in lotta contro l'etichetta di "candidato di Wall Street" (vedasi il recente spot satirico del Partito Democratico nel quale si gioca a propagandare un suo ticket con il mitico Gordon Gekko di oliverstoniana memoria) e di personaggio troppo lontano dalla gente comune e troppo vicino all'odiato mondo dei miliardari e dei finanzieri (che in effetti, dati alla mano, sono propensi a finanziare lui più di chiunque altro), quel pacchiano sbattere un pacco di grana sul tavolo è stata la mossa più controproducente che la mente umana potesse concepire.
Di un dibattito come questo contano più che altro questi piccoli passaggi di cinquanta secondi destinati a rimanere impressi, ad essere ripresi dalle TV e fatti girare sul web, ad essere usati in spot avversari, ecc. L'immagine di quel signore troppo abbronzato pronto a mettere mano al portafogli per apparire potente, e quindi destinato ad apparire debole, difficilmente gli si scollerà di dosso.
La miglior narrazione in lingua italiana di questa gag la trovate, come spesso accade, sul blog di Andrea Salvadore: che oltre al racconto del magic moment ("terrificante Romney, figura da bimbo viziato, completamente out of touch con la middle class che vorrebbe rappresentare... roba da bulletto che paghera’ cara, paghera’ tutta") dà conto anche delle "infinite reazioni" l'indomani nei talk show politici e della "vetta nei tweet" tra gli spettatori in quel momento di "fessa volgarità in diretta".
Perfino sul sito della National Review, dove solitamente si leggono sperticati elogi per Romney, la recensione del dibattito di sabato decrive un Gingrich indiscusso vincitore  - ed un Perry miracolosamente riposizionatosi come potenziale riserva casomai la bolla del vecchio Newt dovesse esplodere prima di aver chiuso la partita.

Staremo a vedere i sondaggi successivi a questo dibattito; quelli immediatamente antecedenti parlano di un Gingrich in enorme vantaggio, e a questo punto c'è da aspettarsi che la musica non cambi.
E' un quadro che continua a destare irritazione e dincredulità non solo presso l'establishment del partito, ma anche presso gran parte dei commentatori ed opinionisti di area conservatrice (durante l'ultimo weekend Peggy Noonan ha descritto Newt come una mina vagante in quanto notoriamente incapace di non farsi dare alla testa dal successo, e David Brooks lo ha ritratto come troppo statalista anche per un moderato come lui).

Prossimo dibattito giovedì prossimo a Sioux City, cioé sempre lì, in Iowa, dove si apriranno le danze tra appena tre settimane.

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UPDATE - Come volevasi dimostare: stamane, puntuale como la muerte, è arrivato l'immancabile nuovo spot dei democratici, ricavato dalla figuraccia di sabato sera:

martedì 6 dicembre 2011

SOMETHING OLD, SOMETHING NEWT


Quindi sarà lui?
Davvero uno che divenne deputato quando Reagan non era ancora presidente ed Obama non aveva ancora finito il liceo, uno che ha già "fatto la rivoluzone" da speaker della Camera (e uomo dell'anno per TIME ) ai tempi di Bill Clinton, quando Obama era un ambizioso  community organizer 34enne alle prese con una precoce autobiografia, può essere "l'uomo nuovo" che tenterà di cambiare colore alla Casa Bianca nel 2012?
Possibile?
Dopo il suicidio di Rick Perry (anche se il potente Haley Barbour, che l'ha preceduto alla presidenza della associazione dei governatori repubblicani, pochi giorni fa invitava a non darlo ancora per morto) e il forfait di quello della pizza (i cui consensi sono destinati ad essere facilmente calamitati dal "prossimo in lista", trattandosi di elettorato di opinione non strutturato), non resta molto altro sul menu.
Mitt Romney, quello che doveva essere l'"inevitabile" trionfatore di queste primarie repubblicane, proprio non riesce a guadagnare terreno - ed anzi le sue azioni sono in netto calo non solo in Iowa, ma anche in Florida e in South Carolina, e cominciano a calare persino in New Hampshire - gli stati in cui si gioca tutta la partita dell'early vote.
Tutto, quindi, sembra giocare a favore del vecchio Newt.
Che è uno bravo, non c'è dubbio: ieri ad esempio, per battere il ferro finché è caldo, ha lanciato in Iowa uno spot TV che finalmente porta in questa campagna lo spirito ottimista e fiducioso di quella per la rielezione di Reagan ("Morning in America") di cui segnalavo la mancanza a settembre, quando pareva che il duello sarebbe stato Romney/Perry.
Ecco l'originale del 1984:


Ed ecco la riedizione modello "Newt 2012":


Certo, Gingrich ci sa fare. In primavera gli ottimi Mancia & Bressan avevano le loro ragioni per accendere i fumogeni sulla base della considerazione che in questo ciclo "servono idee"; e sotto questo profilo il vecchio "storico autodidatta" Newt è, indiscutibilmente, un vulcano in eruzione.


Eppure, non è così semplice. Il vecchio Newt resta una minestra riscaldata, un arcinoto esponente di quella esecrata vecchia "casta" corrotta e spendacciona di politicanti di Washington che ultimamente sta tanto sulle palle un po' a tutti, Tea Partiers in primis. Ieri il Partito Democratico ha lanciato un nuovo, micidiale spot che relega in quell'odiata categoria il povero Romney, sbertucciandolo per il suo tentativo di spacciarsi  per outsider; ma se alla fine il candidato fosse Gingrich, quanti e quali spunti avrebbero per sfottò di questo genere?
A centrare il punto nelle scorse ore è stato Charles Krauthammer: Gingrich ha scarse chance con il decisivo elettorato "indipendente", non perché troppo conservatore o troppo poco moderato, ma perché troppo legato alla vecchia politica nei confornti della quale gli elettori, specialmente quelli non affiliati ad uno dei due grandi partiti, sono ora più che mai disillusi ed insofferenti.
Per di più, in oltre trent'anni di carriera ha collezionato moltissimi nemici anche dentro la galassia repubblicana. Secondo The Politico molti suoi detrattori in questi giorni si stanno mordendo la lingua, temendo che prossimamente dovranno ingoiare il rospo; non tutti però, visto che sul web circolano già svariate malignità da parte di suoi compagni di partito pronti a giurare che Obama pagherebbe pur di avere la fortuna di ritrovarsi lui come avversario.

Il debutto di questa nuova versione del fatidico "duello" sarà sabato prossimo proprio in Iowa, a Des Moines, in occasione del primo dibattito elettorale successivo all'uscita di scena di Cain. I sondaggi della settima prossima, dunque, ci diranno molte cose.

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